Parlare di Fundraising in un Paese come l’Italia con il debito pubblico ai massimi storici ed una crescita pari allo zero sembra utopia mentre, dai recenti dati dell’Osservatorio sul Dono, per la prima volta dopo ben dieci anni il trend è cambiato con un aumento del numero dei donatori. Come si spiega questo timido segno positivo?
La risposta potrebbe trovarsi nelle nuove modalità di raccolta fondi, nettamente diverse da quelle in essere qualche anno fa. La donazione viene vissuta come un aiuto diretto per sostenere quei bisogni espressi dalla propria comunità. Ecco la grande novità: cercare e trovare all’interno delle stesse realtà quelle risorse economiche, umane e strumentali mancanti.
Nuovi modelli di welfare in cui tutti gli stakeholders coinvolti devono naturalmente lavorare in team con obiettivi comuni e, soprattutto, sposare un modello di comportamento etico e trasparente. Questo è forse il vero obiettivo del fundraiser: creare una squadra di attori che condividono mission e policy del progetto. Tutto ciò diventa fondamentale per ottenere la fiducia dei sostenitori.
Donatori che diventano interlocutori attivi con i quali stabilire cosa è necessario investire per realizzare un progetto: non esistono “polli da spennare” o portafogli da svuotare. Parliamo di risorse con le quali stabilire obiettivi ed investimenti, rendendoli partecipi di ogni step del percorso.
Un altro termine che entra in gioco, quindi, è Engagement: i nostri interlocutori sono prima di tutto persone ed è quindi importante coinvolgerle.
Ricordiamoci che il fundraising non deve mai essere l’obiettivo, ma un semplice mezzo per raggiungerlo. Se questo mantra viene meno, il rischio di cadere nel classico “venditore di fumo” è dietro l’angolo. È necessario tornare ad essere la chiave di volta per rendere un progetto sostenibile in ogni sua necessità, dando valore alle persone coinvolte, vera ricchezza di ogni attività.