Continua la quarantena, continua questo strano periodo in cui un po’ ti senti naufrago e un po’ ti senti pesce rosso. Siamo tutti “pesci naufraghi”. In momenti come questo è molto facile perdere se stessi, dimenticare chi sei. E se non sai chi sei, non sai cosa puoi donare.

Sono stati raccolti davvero molti soldi all’emergenza, noi italiani abbiamo dimostrato di essere ottimi donatori a livello finanziario. Possiamo dire che quasi ogni italiano abbia aperto cuore e portafoglio per combattere il coronavirus. Ma poi? Ho visto persone atterrite dopo aver fatto il bonifico, perché hanno visto concludersi il suo ruolo in tutto questo. Il loro ruolo era finito, loro erano finiti. La sindrome del giocatore in panchina: non ho motivo per stare in campo, guardo gli altri giocare e mi intristisco.

Quindi, game over? Assolutamente no.

Nel fundraising è un assioma basilare: tutto è dono, il donatore stesso è dono, perché è un’insieme di conoscenze, competenze e tempo che andrebbero altrimenti reperiti in altro modo. Quando hai finito di donare tutto, rimane ancora un grosso tesoro. Rimani tu, le tue competenze, tutto quello che sei e che sai fare. DONA TE STESSO: ci sono mille modi cui puoi essere utile al mondo intorno a te. In cosa sei bravo? Cosa ti piace fare? Qualcuno la fuori è in cerca di te.

Facciamo un esempio pratico e un po’ sopra le righe.

Nel mio quartiere i “vecchietti del tavolo della briscola” continuavano a brontolare da quando il parco è stato chiuso. Un appassionato di giochi di società, stufo del borbottio del proprio nonno, gli ha fatto vedere un sito di “briscola on line”. Il vecchio è stato entusiasta, e ne ha parlato con i compagni abituali, che hanno deciso di trovarsi in rete a giocare. Ma sono cominciati i problemi: più di metà di loro non aveva una connessione decente, qualcuno neanche un computer. Che fare?

L’appassionato di giochi ha chiamato l’amico tecnico, che ha chiamato l’amica fornaia, che ha chiamato il catechista, che ha chiamato il cartolaio, che ha chiamato la barista, ecc…

La comunità si è messa in moto: chi donando il proprio wi-fi al vicino, chi fornendo uno smartphone già impostato sul programma, chi registrando materialmente al sito scelto ogni vetusto giocatore. E la cosa non si è fermata lì: sono stati disegnati dei tutorial cartacei, istituito un numero di “pronto intervento” in tempo reale per risolvere i messaggi di errore (o le pubblicità pop-up), qualcuno ha creato una “3 hours playlist for briscola” di vecchi successi. Non ho i numeri precisi ma per un tavolo di venti giocatori del parchetto quasi ottanta persone hanno messo insieme soluzioni bizzarre pensate con quello che avevano sottomano, basate su quello che potevano fare al momento. Tutti interventi elementari, piccole intuizioni, fatiche minimali, ma che ora tengono al sicuro e su di morale persone a rischio.

Si è risposto ad un bisogno del momento, mettendo in prima linea il poco che uno materialmente sapeva fare. Sembra poco? Se vogliamo ragionare su interventi molto più incisivi c’è il caso del “Fab Lab, delle valvole 3D e delle mascherine Decathlon”, caso che, da bresciano, non può che farmi scoppiare d’orgoglio (https://www.corriere.it/tecnologia/20_marzo_23/coronavirus-l-azienda-bresciana-che-ha-trasformato-maschera-snorkeling-un-respiratore-cdf7d0e2-6d14-11ea-ba71-0c6303b9bf2d.shtml).

Il punto è che il coronavirus ci sta togliendo spazio, tempo, affetti e sicurezza, ma non ci può togliere noi stessi, quel che siamo, quel che sappiamo fare.

Se pensi di non aver più niente SBAGLI. Se pensi di non poter far niente SBAGLI. Se pensi di essere in panchina SBAGLI. Alzati e Dona te Stesso.

Bentornato in campo, il resto del mondo è la tua squadra.

Filippo Abrami – Responsabile Consulenza Fundraising